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Postilla » Fisco » Il Blog di Ennio Vial » Commercio e fiscalità internazionale » Società estere a rischio di esterovestizione. I nuovi accertamenti

7 settembre 2009

Società estere a rischio di esterovestizione. I nuovi accertamenti

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Gli accertamenti in materia di esterovestizione di società si stanno pian piano diffondendo in diverse regioni italiane. Quello che sembrava un problema tipico delle multinazionali si sta invece rilevando una questione che riguarda principalmente le piccole e medie imprese che, proprio per il fatto di non essere dotate di un impianto amministrativo e organizzativo particolarmente evoluto, rischiano di scivolare a volte ingenuamente in questa buccia di banana.

 

E’ ovvio che riguarda anche loro….. l’art. 73 del tuir non discrimina a seconda delle dimensioni della società…. Solo che in passato i verificatori battevano poco questa pista.

 

Accade sovente che in occasione di un accesso, i verificatori rinvengano fax, a mail e documentazione varia che lasciano presumere un potere decisionale italiano con la inevitabile attrazione della residenza della società estera nel nostro Paese.

 

Le conseguenze sono catastrofiche: l’omessa tenuta delle scritture può far scattare un accertamento extracontabile con la proroga di un anno a causa della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi. Il contenzioso che ne esce è drammatico e il cinico sorriso del professionista che pensa di aver per le mani un “grosso” lavoro sfuma presto in angoscia quando si sente minacciare dal suo cliente una possibile azione di responsabilità professionale per il fatto di non averlo informato adeguatamente.

 

Il moto ormai trito, retaggio di una pubblicità che sentivamo da giovani o da fanciulli, ci ricorda che la prevenzione è meglio della cura. Ma come prevenire?

 

Il primo passo è sicuramente quello dell’informazione per tutti gli imprenditori che detengono società all’estero. Ma per informare dobbiamo essere consapevoli dell’ampiezza della problematica che non può risolversi in una mera lettura dell’art. 73 o di quattro slide recuperate ad un convegno dove magari – come spesso accade – chi parlava non aveva magari mai esaminato professionalmente il caso!!!!.

 

Un aneddoto divertente riguarda la storia di un tale che si pregiava di implementare questo tipo di consulenza e che, recitandomi l’art. 73 co. 3 del tuir, quando gli chiesi chiarimenti in merito al criterio dell’oggetto dell’attività mi disse: “ma sai che non lo so!!!”. Tutti sanno cosa è l’oggetto dell’attività, ma come identificare il luogo di questo oggetto?

I processi verbali di constatazione diramati dalla Gdf sono tutt’altro che banali in quanto citano varia dottrina e mostrano di conoscere anche le proposte di modifica al Commentario OCSE (questo sconosciuto!!!).

 

Di fatto la maggior parte delle società estere sono amministrate in Italia….. Di fronte ai nuovi controlli si prevede un bagno di sangue!!!!

 

Del resto, non bisogna trascurare che accanirsi su questi temi vuol dire anche disincentivare l’internazionalizzazione dell’imprenditoria italiana.

 

Che non sia quasi il caso di prevedere un piccolo condono speciale su questi temi?

 

Letture: 9895 | Commenti: 5 |
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5 Commenti a “Società estere a rischio di esterovestizione. I nuovi accertamenti”

  1. daltanius scrive:
    Scritto il 8-9-2009 alle ore 09:22

    Egregio Professore,
    il problema è che il fisco è più semplice accanirsi nei confronti di soggetti che sono grandi sostituti di imposta, che operano alla luce del sole con accertamenti di natura giuridico-interpretatica (cfr l’illuminante “evasione fiscale, paradiso ed inferno” del prof. Lupi, come quelli in materia di esterovestizione, stabile organizzazione, transfer pricing, ecc. Ma la vera evasione milionaria,secondo me, è posta in essere da piccoli soggetti quando il loro cliente è consumatore finale che non ha bisogno di fattura (pizzerie, commercianti, artigiani, professionisti che non lavorano per società, ecc. ).
    é possibile chi dichiara 10.000 euro l’anno abbia un tenore di vita di 1.000.000 euro l’anno? Un saluto

  2. Il ragioniere scrive:
    Scritto il 9-9-2009 alle ore 10:17

    Beh, Daltanius, le tue osservazioni, pur partendo da presupposti corretti, sono esagerate nelle conclusioni, salvo eccezioni che non confermano la regola. Il piccolo evade ma rimane piccolo anche nell’ammonatare dell’evasione. Quella milionaria rimane ad appannaggio, in genere, di grossi evasori opernati nel mondo della grande impresa, oppure finanzieri che possono arbitrare, eludere, delocalizzare, oppure, guadagnare senza evadere ma violando norme finanziarie, oppure mettere soldi in paradisi solo perchè non si fida del sistama Italia. Tutt’altro pianeta e senza alcun paragone con gli operatori economici che evadono è il mondo della criminalità oraganizzata che realizza profitti, investe, esporta in paradisi, ecc.

  3. walter scrive:
    Scritto il 9-9-2009 alle ore 11:23

    concordo…rimane da vedere se, per lo Stato, fa più cassa il contrasto alla piccola evasione, che nei numeri aggregati diventa grande, oppure alla grande evasione, che nei numeri aggreagati diventa piccola, forse.

  4. Raffaello Lupi scrive:
    Scritto il 11-9-2009 alle ore 01:04

    Avevamo visto parecchie esterovestizioni, e ce ne sono tuttora in corso, ma relative a plusvalenze esenti nei paesi tipo benelux , oppure a società holding, per il transito di dividendi (magari provenienti da paradisi fiscali, ma fluenti attraverso società intermedie europee, prima delle apposite correzioni normative). Poi abbiamo visto finanziarie irlandesi (cash companies) eterodirette, oppure delle “trading” svizzere, anch’esse contestate sulla residenza presso la casa madre. Però non mi pare sia contestata la residenza di società operative estere, che magari producono scarpe o mobili in Romania per conto della propria casa madre anche se sotto il suo ferreo controllo. Avevamo scritto varie volte su dialoghi che una struttura produttiva è sempre radicata al territorio dove opera,e che i casi esaminati dal commentario ocse si riferiscono a situazioni di grandi compagnie con la sede produttiva in un paese e quella commerciale in un altro (Diamanti, Banane, petrolio, per capirci, dove si crea una divergenza tra sede legale e sede amministrativa della medesima struttura, risolta dall’ocse nel senso dell’Alta direzione, a danno ad esempio dei paesi del terzo mondo dove si estraggono i diamanti). Non è però il caso della fabbrica di treviso che controlla una società Rumena produttrice di scarpe o pannelli truciolati. Qui non c’è un conflitto tra struttura produttiva e amministrativa, sono tutte e due su ciascuna società, e l’alta direzione è a treviso. Comunque, forse frequento poca gente, ma non mi rsultano accuse di esterovestizione per le società produttive di beni o servizi materiali. Grazie a Daltonius, troppo buono!

  5. Alessandro Pegoraro scrive:
    Scritto il 12-9-2009 alle ore 21:56

    A volte mi chiedo se l’approccio dell’Amm. Finanziaria italiana sia davvero quello più adatto. Anzichè perseguire questa politica di caccia alle streghe con esterovestizioni più o meno mascherabili, restringimenti CFC ecc. non potrebbe valutare un approccio più “di libero mercato”?. Alcuni paesi esteri offrono una “exit-tax” a coloro che decidono di spostare la propria residenza fiscale all’estero. Per la serie….vuoi davvero emigrare fiscalmente?….pagami una fee di uscita.

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